Hai mai ascoltato parenti, amici o conoscenti che ti hanno confessato di non vedere l’ora di andare in pensione? Io ne ho conosciuti alcuni che hanno iniziato a ripeterlo ancora prima di compiere quarant’anni. Hai mai riflettuto su cosa ci fosse dietro quella frase?

Visto il mio interesse a capire pensieri, emozioni e comportamenti degli esseri umani, ho chiesto  cos’è che incoraggia molte persone a desiderare di andare in pensione il prima possibile.

La maggior parte degli infarti si verifica il lunedì mattina.

La motivazione più ricorrente è relativa all’avversione che molti di noi abbiamo verso il proprio lavoro. La Gallup, società americana di riferimento per la raccolta dati e statistiche, indica che l’85% delle persone odia il proprio lavoro. Non è un caso che la maggior parte degli infarti si verifica il lunedì mattina, dalle 4.00 alle 10.00. Sembra assurdo che la maggioranza di noi passi la metà della propria vita (escludendo il tempo che passiamo a dormire) a fare un lavoro che disprezza.

La professoressa Amy Wrzesniewski, della Yale University, dopo anni di ricerca in organizzazioni, enti e aziende, ha individuato tre categorie di lavoratori; coloro che: (1) sono orientati a trovare e tenersi un lavoro, (2) sono desiderosi di fare carriera, e (3) percepiscono il proprio lavoro come una vocazione.

I primi, quelli che si limitano a identificare il proprio lavoro come una semplice transazione in cui offrono il loro tempo per ricevere denaro, non sono particolarmente interessati all’organizzazione in cui operano, non si sentono coinvolti dalle attività lavorative svolte e considerano il lavoro come una necessità o un obbligo che gli permette di sostenere, in tutto o in parte, lo stile di vita desiderato.

Tre categorie di lavoratori: (1) avere un lavoro (2) fare carriera, (3) lavoro = vocazione.

I secondi lavorano per accrescere il proprio status sociale, per aumentare il successo professionale, per ottenere mansioni più importanti o posizioni lavorative più prestigiose. Sono particolarmente attratti da datori di lavoro che offrono opportunità di crescita attraverso promozioni, stipendi più elevati e orari lavorativi flessibili.

I terzi considerano il lavoro come un’estensione o rappresentazione della loro identità. In altre parole, quest’ultimo gruppo è composto da individui che esprimono ciò che è più vivo dentro di loro attraverso il proprio lavoro. Svegliarsi la mattina per recarsi in ufficio diventa quindi una gioia e non un peso. A volte, coloro che rientrano in questa categoria affermano che andrebbero a lavorare anche senza essere pagati. Sono completamente appagati dalle funzioni che svolgono e il loro livello di soddisfazione, sia al lavoro che nella vita in generale, è più alto rispetto ai lavoratori che fanno parte delle altre due categorie.

A quale categoria, delle tre sopra elencate, credi di far parte? Se non fai parte della terza categoria, quella del lavoratore per vocazione, chiediti perché. Che cos’è che ti spinge a passare la maggior parte della tua vita a fare un qualcosa che non è allineato a chi sei veramente? Spesso, la risposta che viene riportata riguarda il tipo di lavoro o le mansioni svolte. Infatti, potrebbe essere naturale pensare che un medico o un avvocato possano essere più portati a considerare il loro lavoro come una vocazione, soprattutto nel paragonare le loro mansioni a quelle di un operatore ecologico o di un minatore. Ulteriori ricerche scientifiche, tuttavia, hanno svelato un’altra realtà.

Non è il tipo di lavoro che ci deprime. In realtà, è la nostra interpretazione di quello che facciamo al lavoro.

La professoressa Wrzesniewski ha potuto verificare che i lavoratori, inclusi professionisti e imprenditori, sono ugualmente suddivisi e distribuiti nelle tre categorie di cui sopra. In altre parole, a prescindere dall’attività lavorativa svolta, c’è un terzo delle persone che lavorano esclusivamente per percepire un reddito, un terzo per fare carriera e un terzo per vocazione. Ad esempio, all’interno di un ospedale, i ricercatori hanno raccolto informazioni da medici, infermieri e personale addetto alle pulizie e hanno notato che un terzo dei medici era li a lavorare per lo stipendio, un terzo per ottenere titoli più importanti e un terzo per la passione e la gioia di far vivere meglio e più a lungo la gente. Ugualmente, un terzo del personale infermieristico e, soprattutto, degli addetti alle pulizie considera la propria attività lavorativa come essenziale e necessaria al benessere dei pazienti ed è particolarmente orgoglioso delle proprie mansioni. Nel ripetere la medesima indagine in altre organizzazioni, incluse società informatiche, ingegneristiche, e di wellness, i ricercatori hanno ottenuto gli stessi risultati.

Non è, allora, il tipo di lavoro che ci appassiona. Invece, è la nostra interpretazione di quello che facciamo al lavoro che determina il nostro stato d’animo e il nostro piacere a svolgerne le relative mansioni. Anche coloro che sono impegnati a fare i lavori considerati più umili hanno il potere di percepire e modellare le proprie mansioni al fine di sentirsi appagati e soddisfatti. Prenditi qualche istante per riflettere e capire quale sia il tuo punto di vista riguardo a ciò che fai al lavoro. Una volta individuato, chiediti come quel punto di vista possa influenzare la tua passione e motivazione in ufficio, a studio o in officina. Si tratta di una prospettiva che stimola o diminuisce il tuo potere e la tua positività? Infine, varrebbe la pena chiederti come potresti riformulare il tuo punto di vista e percepire le tue attività lavorative in maniera più positiva e costruttiva per arricchire di significato e valore il 50% della tua vita.